sabato 15 dicembre 2012

L’Ilva di Taranto e l’India


[India]  Qualcuno si chiederà quale legame può esserci tra un’industria siderurgica tutta italiana e l’India. Le due storie che sto per raccontare mettono in luce come la disperazione umana non abbia confini e si manifesti allo stesso modo, anche se con modalità diverse, sia in Italia che nella povera India.

India e l’aiuto rifiutato

Siamo in una città qualsiasi dell’India, come Varanasi. Un operatore sociale che lavora nei pressi della caotica stazione ferroviaria, dove si concentrano i mendicanti della città, propone al direttore di una scuola di offrire ospitalità ed istruzione ad alcuni ragazzi di strada che vivono sui marciapiedi. I ragazzi sono magri, affamati e sporchi, come chi non si lava forse da anni. Il direttore li fa lavare, offre loro dei vestiti, del cibo e un posto letto nell’ostello della scuola. Poi li convoca e dice loro: “Potete stare qui, andare a scuola la mattina e nel pomeriggio aiutare per qualche ora gli altri ragazzi nel campo dove coltiviamo le verdure. Cos’altro posso fare per voi?” Il direttore sbianca quando si sente rispondere che potrebbe comperare loro un cellulare. Li convince comunque a rimanere qualche tempo per vedere come si trovano, ma alla fine del secondo giorno chiedono di tornare sul marciapiede della stazione perché lì, dicono, riescono comunque a vivere con l’elemosina dei turisti.

L’Ilva di Taranto e il benessere economico che prevale sui figli

Immaginiamo una città sulla costa salentina. Per comodità facciamo pure finta che sia Taranto. Oltre ad avere un centro storico meraviglioso, c’è la spiaggia libera e le persone vivono prevalentemente di pesca, agricoltura e piccolo artigianato. Un giorno arriva una grossa industria, che per comodità potrebbe essere l’Ilva: essa ha sicuramente dei benefici effetti, perché offe lavoro e, di conseguenza, soldi agli abitanti che iniziano una vita da operai. Col passare del tempo si manifestano tuttavia degli effetti indesiderati. L’industria scarica in mare e nell’aria delle sostanze inquinanti, che rendono la spiaggia non balneabile e determinano un aumento dei tassi di tumori in tutta l’area. Gli operai, inoltre, hanno meno tempo libero di prima ma, con gli straordinari possono avere i soldi necessari ad acquistare l’auto (con cui recarsi nel primo paesino con spiaggia libera disponibile) o pagare la piscina privata costruita da un imprenditore locale (il mercato infatti tende sempre a sostituire un bene come la spiaggia libera, con un suo surrogato, vendibile attraverso un prezzo). I soldi spesi per le cure mediche, tra gli altri effetti, vanno comunque ad aumentare il PIL, che al suo interno include le spese in medicinali e servizi medici. Le auto intasano la statale litoranea, le spiagge libere tendono a congestionarsi e quelle private sono sempre più care ed esclusive. La salute della popolazione è irrimediabilmente compromessa.

Ad un certo punto la dicotomia tra lavoro e ambiente emerge in tutta la sua virulenza. Gli abitanti di Taranto, e gli operai dell’Ilva, denunciano la grave situazione ambientale e l’aumento smisurato di tumori nell’area finché la magistratura blocca la produzione di acciaio, visto che rinnovare gli impianti comporta un costo economico insostenibile.

Ma chi è disposto a tornare a fare il pescatore, oppure ad emigrare, per salvaguardare la salute dei propri figli? Sembra nessuno. Così, gli stessi operai che avevano manifestato per denunciare l’inquinamento, ora si oppongono alla chiusura dell' Ilva in gran massa. Il modello economico ha così modificato la mente di quegli operai da riuscire a mettere i soldi davanti alla propria salute e a quella dei figli. Il governo Monti, che con un decreto ha riaperto la fabbrica contro la decisione della magistratura, ha spaventosamente approvato questo modello.

Il confronto tra queste due storie è sicuramente forzato, ma volevo mettere in luce come la disperazione umana non abbia confini e si manifesti, sotto forme diverse, nei paesi ricchi come in quelli poveri: da una parte i ragazzi che preferiscono l'elemosina dei turisti ad una vita di studio, dall'altra gli operai che non hanno sostanzialmente scelta, perché vittime di un sistema economico ormai degenerato.

Le immondizie a Varanasi vengono bruciate lungo le vie
Trasporto del gas
La sua baracca la vede così bella che riesce a farci anche le decorazioni
E' incredibile, ma anche in baracche così piccole, può mancare tutto ma non la televisione

1 commento:

  1. http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/18/fare-maestro-in-india-storia-di-valentino-giacomin/449155/

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