Fin dall’inizio del nostro viaggio
avevamo pensato di finire con un periodo vicino alla fantastica
Gerusalemme, cercando magari di renderci utili in qualcosa. Qui ci chiamano
“volontari”, ma non è così: noi siamo venuti per scoprire, per imparare, per
capire ancora meglio le situazioni, i luoghi e le persone.
In questo viaggio ci siamo resi conto
ancora di più che c’è un abuso della parola “volontario”. A volte viene usata
per quelli che si rendono disponibili ad andare a lavorare in situazioni
difficili, ma con un notevole aumento dello stipendio, come gli operatori
umanitari di grosse organizzazioni internazionali, oppure i militari che
scelgono di andare all’estero.
Paradossalmente, invece, i veri
volontari, quelli che lavorano in silenzio, magari senza percepire denaro o
ricevendo solo il necessario per la sopravvivenza, sono considerati delle
persone strane, quasi dei matti, perché escono dallo schema “lavoro = denaro” e
la gente non li capisce. Di queste persone ce ne sono tante non solo
all’estero, ma anche in Italia, se un giorno dovessero decidere di scioperare tutti
insieme sarebbe un disastro, dovremmo almeno avere il coraggio di chiamarli con
il loro nome: veri volontari!
Chiarito il fatto che
noi non siamo dei volontari nel vero senso della parola, possiamo descrivere
come passiamo il tempo a Betlemme. Per il momento siamo nell’Istituto Cattolico
Sant’ Antonio, dove si trova un asilo e una casa di riposo con una trentina di
anziani. Per alcune mattine della settimana il loro numero raddoppia perché
altri dall’esterno vengono qui a trascorrere mezza giornata: ballano, giocano a
carte, mangiano un pasto decente e poi verso l’una vengono riportati a casa.
Noi stiamo un po’ con loro e nel resto
del tempo aiutiamo in cucina, oppure in lavanderia, seguiti dalla mitica Suor Caterina dell'Ordine delle Giannelline,
una suora di origine giordana di circa 65 anni che insieme ad altre tre si occupano dell'ospizio. La sua dedizione, la sua pazienza e il suo impegno ci hanno
colpito fin dall’inizio. Ogni mattina, di ogni giorno dell’anno, si alza alle
cinque e scende subito in cucina, dove rimane fino alle sette di sera, a parte
qualche pausa di preghiera con le altre suore. Dice timidamente: “Però,
talvolta mentre prego mi capita di addormentarmi!”
Gli anziani sono una vera sorpresa, la
maggior parte parla più lingue, spesso l’inglese e il francese, altre volte il
tedesco, e danzano benissimo. Una vecchietta arrivata da pochi giorni mi dice:
“Portami a casa, non voglio rimanere qui, posso arrangiarmi ancora, mio
fratello è stato cattivo a lasciarmi in questo posto!” Un altro è un ex
insegnante di inglese in carrozzella, paralizzato su tutta la parte destra del
corpo, parla lentamente ma benissimo e corregge spesso il mio inglese. Mi
racconta del muro e dice: ”Con sofferenza ho visto crescere il muro intorno alla mia città, me ne andrò con questa tristezza nel cuore ma sono ottimista perché tutti i muri cadono prima o dopo”.
La visita all’istituto dei bambini con
handicap, dove dovremmo andare nei prossimi giorni, non è facile. Vedere tanti piccoli con grossi problemi fisici e mentali fa male. Chiediamo a
Mira perché ce ne sono così tanti. Ci racconta che a causa del muro e delle
colonie i villaggi palestinesi rimangono isolati e i matrimoni avvengono tra
consanguinei.
Per il momento abbiamo mezza giornata libera
e questo ci permette di girare Gerusalemme.
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