A Gerusalemme Ovest, poco distante dalla porta di
Damasco, c’è un quartiere chiamato Mea She’arim in cui la vita sembra veramente
ferma all’ottocento. Per le strade si vedono solo uomini barbuti vestiti di
nero e mamme che indossano lunghe gonne, mentre spingono carrozzelle o carrelli
della spesa, seguite da uno stuolo di bambini ben vestiti. Le case sono
semplici e i negozi vendono vestiti che non si mettevano neanche le nostre
nonne.
I primi ebrei ultraortodossi provenienti dall’Europa
orientale si stabilirono qui, non solo dando alle loro case lo stesso aspetto
che avevano in Polonia, Germania e Ungheria, ma anche mantenendo le tradizioni,
gli usi e l’abbigliamento diffusi nei ghetti dell’Europa orientale tra il XVIII
e il XIX secolo, tra cui gli spessi cappelli fatti con coda di volpe che
assomigliano a colbacchi e poco si addicono alle calde giornate di Gerusalemme.
L’unica cosa moderna di cui fanno largo uso è il telefonino.
Per entrare in questo quartiere bisogna vestirsi in
maniera adeguata: maniche e gonne lunghe per le donne, maniche e calzoni lunghi
per gli uomini. Tra l’altro questa regola è ben indicata nei cartelli esposti a
tutti gli ingressi del quartiere e se non la si rispetta si viene prontamente
redarguiti. Durante il sabato il quartiere non si può visitare e vengono poste
delle transenne davanti agli ingressi.
In pubblico è vietato qualsiasi contatto fisico tra
maschi e femmine, non possono nemmeno camminare vicini ma, a parecchi metri
di distanza. La Corte Suprema israeliana è dovuta intervenire bocciando per
incostituzionalità la proposta degli ortodossi più radicali, gli haredim, i
quali proponevano di fare camminare uomini e donne in marciapiedi diversi. La
sfera sociale è regolata in modo che ai due sessi vegano riservati spazi
diversi e non intercambiabili.
Per i matrimoni si ricorre ad una “mezzana”, una signora
che conosce molto bene la comunità e può trovare il marito, o la moglie,
migliore. Tra gli ultraortodossi lavorano solo le donne, con lavori come
maestre, infermiere e commesse, mentre gli uomini si dedicano solo allo studio
della Torah. Il numero di bambini per famiglia è altissimo, ma tutti possono
trovare aiuto e sostegno nella comunità.
La povertà è molto diffusa e malgrado i negozi abbiano i
prezzi molto bassi le famiglie non sopravvivrebbero senza il sostegno governativo.
Questi aiuti sono contestati da una buona parte dei non ortodossi israeliani perché
ritengono ingiusto che gli uomini di questa comunità non lavorino e non
facciano il servizio militare di tre anni, obbligatorio per tutti gli altri.
Nelle loro scuole non vengono insegnate le materie
classiche come matematica, storia e geografia, ma si dedica la quasi totalità
del tempo allo studio dei libri sacri. Le ragazze hanno i capelli liberi,
mentre le donne sposate devono avere il capo coperto anche se i capelli vengono
generalmente rasati a zero, in segno di semplicità e modestia. Le parrucche
sono molto usate.
Gli ebrei ultraortodossi non comprano i giornali ma
attingono le notizie delle locandine esposte su tutti i muri, scritte
rigorosamente in ebraico, mentre tra di loro parlano yiddish,
perché l’ebraico è considerata una lingua di culto. Su uno dei tanti cartelli
esposti c’è un invito al “Kosher Separate Beach”, una gita al mare in bus e
spiagge separate, per uomini e donne.
Il venerdì pomeriggio questo quartiere si anima
particolarmente per la preparazione della solenne cena che volge allo Shabbat e
le vie si riempiono di uomini e donne che camminano velocemente pieni di
sacchetti della spesa. L’arteria principale Mea Sh’arim sbuca su un incrocio a
due passi dalla prima casa dello scrittore Amos Oz, dove ci fermiamo a dare
un’ultima occhiata a questo mondo così
strano.
Girando il quartiere di Mea She'arim sembra di essere in un set cinematografico |
Gli ebrei ultraortodossi non comprano i giornali ma attingono le notizie delle locandine esposte su tutti i muri |
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