venerdì 31 maggio 2013

La fede nell’arte a Yogyakarta

[Indonesia - Giava]  Da Solo in un’ ora di treno arriviamo a Yogyakarta, la capitale culturale dell’isola di Giava, da non confondere con la capitale economica e politica Giakarta, da cui dista oltre 500 km. La zona degli alberghi turistici si trova vicinissima alla stazione, dopo averne visti diversi, tutti con camere piccole e buie, ci sistemiamo all’Urum, che ci sembra il meno peggio, gestito da una tranquilla famigliola cattolica. Paghiamo 10 euro a notte, con colazione e wi-fi. La connessione a internet  attraverso wi-fi si trova veramente ovunque in Indonesia dal supermercato alle sale d’attesa degli ospedali.

Con un risciò andiamo subito al centro oculistico più importante di tutta l’Indonesia per una visita agli occhi di Ruggero, e torniamo a piedi. Così finisce la giornata, complici il buio che arriva verso le 17 e il cielo sistematicamente nuvoloso verso sera. Facciamo comunque una passeggiata lungo la via commerciale Maliboro, che dalla stazione ferroviaria arriva fino al kraton, il castello. La via è divisa in due parti, una riservata alle moto e alle auto che sfrecciano incuranti delle strisce pedonali, dove si fermano solo se c’è un vigile, l’altra è dominio dei risciò e delle carrozze trainate da cavalli. L’antico e il moderno, il canto dei muezzin e le luci dei centri commerciali, convivono in questa strada colma di gente ad ogni ora.

I templi hindu di Prambanan

Oggi noleggiamo la moto e andiamo una ventina di km verso est per visitare i templi di Prambanan costruiti nell’850 d.C., capolavoro hindu patrimonio dell’UNESCO. In origine erano più di 200, molti dei quali probabilmente mausolei di antichi re, ma una serie di terremoti ne ha ridotto drasticamente il numero. I più importanti sono quelli dedicati alla Trimurti: Brahma il dio creatore, Vishnu, il dio conservatore e Shiva, il dio distruttore. Per la loro vista si paga l’equivalente di ben 15 euro.

Il tempio buddhista di Barobudur

Il tempio buddhista di Barobudur dista una cinquantina di km dalla città e dovevamo andarci in moto, ma Ruggero deve restare a riposo per ordine del medico, così ci vado da sola con un’escursione comprata in una delle tante agenzie presenti lungo la nostra via. Si parte alla mattina alle 5 e si torna verso le 10. Il tempio è indubbiamente bello, un unico immenso complesso a forma di mandala tridimensionale in mezzo a colline e verdi risaie. Costruito anch’esso nel IX secolo, era andato completamente distrutto, ma l’UNESCO lo ha recuperato con una gigantesca operazione di restauro durata dieci anni e costata 25 milioni di dollari. E’ uno dei templi più visitati di Giava.

Il complesso di Borobudur venne concepito come la visione buddhista del cosmo tradotto in pietra, partendo dal mondo terreno e risalendo fino al nirvana, il paradiso buddhista. Alla base del monumento si trovano diversi bassorilievi che raffigurano in successione un mondo dominato dalle passioni e dal desiderio, dove i buoni vengono premiati con la reincarnazione come forma di vita superiore, mentre i malvagi vengono puniti con una reincarnazione in forme di vita inferiori.. Negli ambienti superiori ci sono 432 immagini del Buddha dal volto sereno, mentre altre 72 figure del Buddha seduto sono visibili in parte negli stupa a reticolo situati sulle terrazze sulla cima del tempio. La piattaforma circolare situata alla sommità del tempio allude a un nirvana senza fine.

I templi di Prambanan sono il più grande complesso religioso hindu di tutta l'isola di Giava
I Buddha seduti sono visibili in parte negli stupa a reticolo situati sulla cima del tempio di Borobudur
Il tempio di Borobudur è stato realizzato con due milioni di blocchi di pietra e la sua struttura assomiglia a un colossale mandala tridimensionale
Nei corridoi decorati del tempio una processione ininterrotta di navi, elefanti, musicisti, danzatrici, guerrieri e sovrani

giovedì 30 maggio 2013

Guardare il mondo da un risciò

[Indonesia - Giava]  Sul ciclorisciò non si sale a caso, devi decidere prima quanta fretta hai ed avere un’idea della distanza che vuoi percorrere. Il conducente non rifiuterà mai la tua richiesta perché tu sei uno straniero e sicuramente pagherai più di un locale, sarà disposto a portarti ovunque. Se è giovane lo farà velocemente, quasi volando sui pedali, se è vecchio vedrai la sua fatica sotto i tuoi occhi, ad ogni metro, e speri che non collassi proprio mentre sta pedalando per te.

La scelta non è sempre semplice, se hai fretta devi avere il coraggio di lasciarti alle spalle il viso scavato di quelli più vecchi che t’implorano ad occhi sbarrati di non rifiutarli e andare verso il baldo giovane, magro fino all’osso, ma pieno di energia. Questo vale soprattutto in India dove i risciò sono uno dei mezzi di trasporto più utilizzati.

Malgrado sia diffuso in tutta l’Asia, il risciò è nato in America nel 1869 ad opera di un fabbro che lo costruì per un missionario battista americano che voleva trasportare la moglie invalida per le strade di Yokohama, in Giappone. Nel 1880 si diffuse in India come mezzo per portare le merci e solo trent’anni dopo cominciò ad essere utilizzato per le persone.

Per molti anni fu trainato a piedi, solo successivamente fu collegato ad una bicicletta e dopo ancora ad una moto. A seconda del mezzo di locomozione si dicono ciclorisciò, motorisciò oppure risciò a trazione umana. Questi ultimi sono stati vietati in tutte le città indiane, rimangono solo a Calcutta, dove i cosiddetti “uomini cavallo” si vedono ancora correre scalzi perle strade.

Mentre i motorisciò asiatici si assomigliano un po’ tutti, con leggere differenze tra quelli indiani, quelli thailandesi e quelli di Jakarta, i ciclo risciò cambiano molto da stato a stato: in India chi pedala è davanti, in Birmania è di fianco e in Indonesia dietro.

Si potrebbe aprire un’interminabile discussione sul fatto che sia giusto o meno farsi trasportare in questo modo. Ma è pur sempre il lavoro, certamente faticoso, con cui queste persone si guadagnano da vivere. Tra l’altro, sempre più spesso i risciò a pedali vengono utilizzati nelle città europee a scopi turistici, senza che nessuno ci veda un qualche tipo di sfruttamento.

Usare il risciò è comunque un bel modo di muoversi in città. Ogni volta che l’abbiamo fatto ci siamo trovati proiettati in un’altra dimensione, a diretto contatto con il viaggiare delle origini, quello lento, che permette di vivere maggiormente tutto quello che ti succede intorno, magari fermandoti a prendere un dolce o a bere un chai alla menta, mentre le persone ti sorridono perché stai condividendo la loro quotidianità.

In Indonesia i passeggeri sono seduti davanti
L'uomo cavallo di Calcutta
In Birmania ci si siede a fianco del guidatore dandosi le spalle
India, un risciò per portare a scuola i bambini...
...e qualcuno a spasso
Risciò a motore a Varanasi