giovedì 23 maggio 2013

Lavorare all’inferno per un pugno di rupie

[Indonesia]  Arriviamo ai 1850 m di altezza di Pos Patulding che è già buio. Ci viene assegnata una stanza doppia piccola e sporca, con un letto matrimoniale e una misera lampadina attaccata alla batteria, non c’è energia elettrica. In una baracca vicina c’è un ristorante ben poco invitante, decidiamo di bere un tè e mangiare le nostre provviste. Alle 20.30 siamo già a letto perché all’una di notte dobbiamo cominciare la salita insieme ai minatori per arrivare nel cratere quando è ancora buio e vedere così il “blu fire”, le fiamme blu emesse dal vulcano.

All’inferno si scende di notte, quando lo sguardo è concentrato sui passi e non ti rendi conto dove stai andando, prima senti l’odore del fumo, poi vedi il fuoco, giallo, rosso, blu. Ti siedi lontano, dove le folate di gas sono meno pericolose, e guardi i minatori sparire dentro la nube e ricomparire con gialle lastre di zolfo tra le mani, mentre tossiscono per liberare i polmoni da quel fumo irritante.

Ognuno di loro riempie due cesti di questo materiale, pesanti tra i 50 e i 100 kg a seconda della propria forza, e li carica sulle spalle usando una cigolante canna di bambù come bilanciere. Devono percorrere 5 km fino al punto di raccolta a Paltuding, risalendo prima il cratere per 200 m di dislivello e scendendo poi per altri 3 km lungo la montagna. Almeno cinque ore tra andata e ritorno. Due viaggi al giorno: si comincia all’una, due, di notte e si finisce nel pomeriggio.

Sembra impossibile che esistano ancora lavori di questo tipo, eppure da quasi mezzo secolo 200 lavoratori dell’isola di Giava, in Indonesia, affrontano ogni giorno il vulcano Kawah Ijen per estrarre il suo “sangue”, lo zolfo, rosso quando è liquido, giallo quando si solidifica. Nessun tipo di assicurazione o indennità in caso di malattia, nessuna tutela. Se porti lo zolfo vieni pagato, altrimenti non sei nessuno.

Un anziano portatore ci fa vedere la nota di pagamento dei due cesti appena consegnati: 35.880 rupie per 46 kg di zolfo, meno di 3 euro per mezza giornata di duro lavoro. Nelle tre settimane al mese in cui rimarrà qui, nelle anguste celle che divide con gli altri portatori, vicine al punto di pesatura, guadagnerà intorno ai 120 €, un salario normale, comunque maggiore di quello che percepirebbe lavorando nei campi di riso. Una settimana a casa e poi si ricomincia.

Nel cratere, occupato quasi interamente da un grande lago sulfureo, i minatori hanno installato dei tubi in ceramica in modo che lo zolfo si condensi in alcuni punti particolari dove è più facile raccoglierlo. Con delle pertiche staccano il materiale lavorando in mezzo ai fumi tossici e potenzialmente letali che bruciano i polmoni, gli occhi e la pelle. L’unica loro protezione è una sciarpa di cotone che tengono stretta tra i denti e un paio di stivali che non tutti possiedono. Scivolare con i piedi nello zolfo vuol dire bruciarsi la pelle, eppure molti usano ancora le ciabatte ad infradito.

Il lago che lambisce la miniera ha un colore verde e una temperatura elevata che lo fa evaporare costantemente. E' il lago più tossico al mondo, con un pH di solo 0,5. La vita media dei minatori è molto bassa rispetto agli altri lavoratori, non solo per i problemi che sorgono ai polmoni, ma anche a causa degli incidenti: negli ultimi quarant’anni 74 minatori sono morti per le esplosioni che avvengono in seguito all’accumulo di gas. Tuttavia molti sono affezionati al loro vulcano e a questo lavoro, perché si "mantengono in forma" sgambettando su e già per i ripidi pendii e sono liberi di decidere quando lavorare. Un giovane a petto nudo ci mostra orgoglioso la pelle spessa e callosa che ha sulle spalle, dove poggia il bilanciere, sembra cuoio.

Dalla stazione di Paltuding, dove viene pesato e consegnato il materiale, un camion raccoglie le circa 12 tonnellate quotidiane di zolfo e le consegna a Licin, 17 km più a valle, dove viene fuso per ottenere un materiale puro da rivendere all’industria cosmetica e  farmaceutica  e alle fabbriche di fiammiferi, fertilizzanti e pesticidi.

Oggi ci sono le macchine per trasportare il materiale nel tratto più lungo, ma una volta i portatori si facevano tutto il tragitto a piedi, dal cratere alla fabbrica. In tanti decenni questa è stata l’unica innovazione, nessuna funivia per portare il materiale fino alla bocca del cratere e nemmeno un mulo per farlo arrivare a valle. Chissà perché tutto è rimasto così assurdamente manuale. Forse, come ci ha detto il minatore, gli spiriti della montagna vogliono proteggerla dall’uso industriale, concedendo solo agli esseri umani la possibilità di avvicinarsi.


La risalita dal cratere Kawa Ijen con 70 kg di zolfo sulle spalle
I tubi in ceramica servono a far confluire le colate di zolfo che poi si solidifica

Nelle prime ore del mattino il fumo sale dritto, poi riempie il cratere…e i polmoni
Chi è fortunato ha un paio di stivali

Il fuoco blu dei vapori di zolfo rende la notte ancora più spettrale

Il lago verde è il più tossico al mondo con un pH acido di 0,5
Le pertiche in ferro vengono usate per staccare le lastre di zolfo

Dopo ore di cammino si arriva alla pesatura
La nota di pagamento: 35.880 rupie (meno di 3€) per 5 ore di lavoro...all’inferno

1 commento:

  1. Ci siamo andati di notte e come voi siamo rimasti scioccati, ma pieni di rispetto nei confronti di tanta abnegazione e di tanta fatica Gino e Manu

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.