[Laos] ll cuore storico e culturale di Luang Prabang è
rappresentato da una penisola di circa un chilometro di lunghezza e 250 metri
di larghezza formata dalla morbida confluenza del Mekong con il suo piccolo
affluente, il fiume Khan. La cittadina è disseminata di splendidi templi, se ne
contano 32, che l’hanno fatta diventare Patrimonio dell’Unesco.
E’ molto bello muoversi tra le raffinate architetture dei
monasteri laotiani, le silenziose strade costellate di palme da cocco, le tipiche
case in legno di bamboo e gli eleganti edifici neocoloniali, che testimoniano
l’influenza del periodo di occupazione francese. I modi estremamente gentili
della popolazione locale, costituita da Hamong, Mieu e Thai, e l’ottimo cibo,
insieme alle numerose pasticcerie, completano il quadro di un posto decisamente
piacevole. Ci sono persino le classiche baguette francesi, erano ben tre
settimane che non vedevamo una briciola di pane.
Arriviamo nella città da Luang Nam Tha dopo nove ore di
minibus su strade di montagna prevalentemente sterrate e piene di buche. Piove,
tanto per cambiare, e bagnati fradici, con l’impermeabile usa e getta per
proteggere gli zaini, cerchiamo una stanza. Ne vediamo sei prima di decidere. In
tutte, per entrare, bisogna togliersi le scarpe già prima della reception, peggio
che in Cina, una palla a cui dobbiamo per forza adattarci.
In un negozio vediamo la guida inglese “Lonely Planet” del
Laos: ne abbiamo bisogno perché non esiste ancora il pdf da comprare in
internet e per otto euro ci sembra un vero affare. Ci accorgeremo dopo che è un
falso thailandese, con le mappe fotocopiate decisamente male, ma comunque
funzionale. I thailandesi riescono veramente a falsificare di tutto, un
italiano ci ha mostrato una patente di guida italiana falsa, a suo nome, pagata
a Bangkok 15 $.
Durante il pomeriggio esce un bel sole e ne approfittiamo
per visitare i templi più importanti, a cominciare dal Wat Xieng Thong del 1559,
dai colori viola e oro, e caratterizzato da più tetti posti uno sopra l’altro. Quasi
ogni tempio ha un monastero annesso, con una miriade di monaci molto giovani.
Li osserviamo in un’aula mentre attendono l’arrivo dell’insegnane, tutti con la
loro tunica arancione e la testa perfettamente rasata, vivaci come tutti
bambini del mondo.
Saliamo poi in cima alla collina di Phu Si, piena di templi
e statue buddhiste, per osservare dall’alto il Mekong che attraversa la città.
Il panorama è molto bello e ancora non deturpato dai grandi palazzoni in
cemento che invadono invece la capitale. Solo alberi, basse case coloniali
francesi e i cortili dei monasteri, dove brillano le tuniche arancioni dei
monaci stese ad asciugare al sole.
Lunag Prabang è comunque molto turistica, anche se i clienti
sono ben nascosti dentro le tante guest house. Da qui si può andare facilmente
ovunque, sembra di essere al centro del mondo. Ci sono infinite agenzie che
pubblicizzano autobus quotidiani per Hanoi (Vietnam), Thailandia, Kunming (Cina)
e Cambogia, fornendoti tutti i visti necessari, anche quello birmano. Il visto
per il Vietnam, che in Italia devi sudarlo, qui te lo fanno in un giorno con
soli 60 dollari, mentre servono solo due giorni per quello cinese.
Verso sera aspettiamo il tramonto sul grande fiume, con una
LaoBeer e melanzane fritte, mentre in lontananza le barche risalgono
faticosamente il fiume con i motori che brontolano per la fatica. Tornando
verso “casa” assistiamo alle preghiere serali dei monaci che rimbombano dai
templi e ci fermiamo con loro per questo momento di serenità. E’ strano come la
preghiera, più di qualsiasi altro rito, si assomigli in tutte le religioni del
mondo: tu, sei solo con te stesso e con qualcosa di Grande davanti a te, che
sia Buddha, Cristo, Allah, Confucio o qualsiasi altra cosa, cambia poco.
Giovani monaci nell'aula di un monastero buddhista |
Il Mekgong e Luang Prabang visti dalla collina di Phu Si |
Wat Xieng Thong dai colri viola e oro |
Tra le braccia del Buddha |
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