martedì 9 ottobre 2012

Un camion di cani

[Laos]  Alle sei di mattina il sole è già alto, facciamo colazione con lo sticky rice, il riso colloso usato in tutta l’Indocina al posto del pane, qui la colonizzazione francese non ha preso piede e le baguette sono inesistenti. Però c’è la marmellata, e sullo sticky rise ci va come il miele sui pomodori. Partiamo subito dopo colazione perché i primi 60 km di oggi sono molto brutti, infatti saranno quattro ore di strada infinita, piena di fango, sassi e buche. Ci infanghiamo completamente cercando di guadare una pozzanghera che pensavamo meno profonda, l’acqua è arrivata a coprire tutto il motore, un miracolo che non si sia spento. Facciamo anche una bella caduta, per fortuna senza conseguenza per noi, ma il pedale della moto si è piegato e le marce non si possono più cambiare; nel vicino villaggio un meccanico con due colpi di mazza ci risolve il problema, Finalmente verso l’una, distrutti e sporchi, arriviamo al villaggio di Lak Sao, dove inizia la strada asfaltata.

Il tratto di 56 km dopo Lak Sao è davvero spettacolare: la strada corre tra impervie pareti di roccia calcarea e alture ammantate di dense foreste. A metà del percorso si trova il villaggio di Tha Bak, dove gli abitanti usano le incredibili “barche bomba”, imbarcazioni ricavate dai serbatoi supplementari che negli anni ’60 e ’70 erano montati sugli aerei che sorvolavano la zona. Una volta vuoti venivano sganciati a terra e quelli non troppo danneggiati sono stati trasformati in imbarcazioni.

La strada che noi percorriamo per un bel tratto è la Route 8, che porta in Vietnam, distante solo 30 km. Ci fermiamo a far benzina e sentiamo un continuo abbaiare e ululare di cani. Viene da un camion che ne ha oltre 600 stipati nel cassone, dentro delle gabbie. Avvicinandoci sentiamo il fetore nauseante di escrementi e di qualche cane probabilmente morto. Ci informiamo e ci raccontano che sono destinati a finire in pentola in Vietnam. In realtà i cani non provengono dal Laos, ma dalla Thailandia del nord, dove i cani randagi vengono catturati e poi messi in grossi camion che attraversano il Mekong su delle chiatte presso il punto di frontiera di Tha Khaek. Da lì, in due o tre giorni, senza cibo e senza acqua, arrivano in Vietnam dove i sopravvissuti varranno fino a dieci volte più di quanto sono stati pagati all’inizio. Questa pratica in Thailandia sarebbe illegale, ma i poliziotti non se ne occupano.

Percorriamo molto lentamente gli ultimi 40 km di oggi, dopo otto ore e 170 km di moto il nostro sedere brucia, così ogni scusa per fermarsi è buona. Il paesaggio comunque merita, la strada si snoda in mezzo a immense distese di riso pronto per la raccolta, con il classico colore verde chiaro e, sullo sfondo, blocchi di roccia nera si elevano improvvisamente di un centinaio di metri, creando un contrasto bellissimo. Ovunque, contadini con i classici cappelli a cono raccolgono a mano il riso già pronto, disponendolo in piccoli fasci, mentre la strada è piena di studenti che tornano in bicicletta dal turno scolastico pomeridiano, tutti con la loro divisa: camicia bianca e pantaloni, o gonna, neri. Quando passiamo ci salutano sorridenti con il loro onnipresente “sabaai dii”: la gentilezza e la dolcezza dei laotiani non ha età. Ci sistemiamo in una guest house a gestione familiare in mezzo alle risaie, ad un chilometro dalle grotte di Tham Kong Lo, una delle meraviglie del Laos che domani visiteremo. Qui i prezzi sono decisamente più economici, paghiamo solo 13 euro la camera più cena per due persone.

 Raccolta dello sticky rice

La preparazione del terreno per la nuova coltivazione

 La nostra Honda da 110cc, un bolide!

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