[Laos] Alle sei di mattina il sole è già alto, facciamo
colazione con lo sticky rice, il riso
colloso usato in tutta l’Indocina al posto del pane, qui la colonizzazione
francese non ha preso piede e le baguette sono inesistenti. Però c’è la marmellata,
e sullo sticky rise ci va come il miele sui pomodori. Partiamo subito dopo
colazione perché i primi 60 km di oggi sono molto brutti, infatti saranno
quattro ore di strada infinita, piena di fango, sassi e buche. Ci infanghiamo
completamente cercando di guadare una pozzanghera che pensavamo meno profonda,
l’acqua è arrivata a coprire tutto il motore, un miracolo che non si sia
spento. Facciamo anche una bella caduta, per fortuna senza conseguenza per noi,
ma il pedale della moto si è piegato e le marce non si possono più cambiare; nel vicino
villaggio un meccanico con due colpi di mazza ci risolve il problema, Finalmente
verso l’una, distrutti e sporchi, arriviamo al villaggio di Lak Sao, dove
inizia la strada asfaltata.
Il tratto di 56 km dopo Lak Sao è davvero spettacolare:
la strada corre tra impervie pareti di roccia calcarea e alture ammantate di
dense foreste. A metà del percorso si trova il villaggio di Tha Bak, dove gli
abitanti usano le incredibili “barche bomba”, imbarcazioni ricavate dai serbatoi
supplementari che negli anni ’60 e ’70 erano montati sugli aerei che
sorvolavano la zona. Una volta vuoti venivano sganciati a terra e quelli non
troppo danneggiati sono stati trasformati in imbarcazioni.
La strada che noi percorriamo per un bel tratto è la
Route 8, che porta in Vietnam, distante solo 30 km. Ci fermiamo a far benzina e
sentiamo un continuo abbaiare e ululare di cani. Viene da un camion che ne ha
oltre 600 stipati nel cassone, dentro delle gabbie. Avvicinandoci sentiamo il
fetore nauseante di escrementi e di qualche cane probabilmente morto. Ci
informiamo e ci raccontano che sono destinati a finire in pentola in Vietnam.
In realtà i cani non provengono dal Laos, ma dalla Thailandia del nord, dove i
cani randagi vengono catturati e poi messi in grossi camion che attraversano il
Mekong su delle chiatte presso il punto di frontiera di Tha Khaek. Da lì, in
due o tre giorni, senza cibo e senza acqua, arrivano in Vietnam dove i
sopravvissuti varranno fino a dieci volte più di quanto sono stati pagati
all’inizio. Questa pratica in Thailandia sarebbe illegale, ma i poliziotti non
se ne occupano.
Percorriamo molto lentamente gli ultimi 40 km di oggi,
dopo otto ore e 170 km di moto il nostro sedere brucia, così ogni scusa per
fermarsi è buona. Il paesaggio comunque merita, la strada si snoda in mezzo a
immense distese di riso pronto per la raccolta, con il classico colore verde
chiaro e, sullo sfondo, blocchi di roccia nera si elevano improvvisamente di un
centinaio di metri, creando un contrasto bellissimo. Ovunque, contadini con i
classici cappelli a cono raccolgono a mano il riso già pronto, disponendolo in
piccoli fasci, mentre la strada è piena di studenti che tornano in bicicletta
dal turno scolastico pomeridiano, tutti con la loro divisa: camicia bianca e
pantaloni, o gonna, neri. Quando passiamo ci salutano sorridenti con il loro onnipresente
“sabaai dii”: la gentilezza e la dolcezza
dei laotiani non ha età. Ci sistemiamo in una guest house a gestione familiare
in mezzo alle risaie, ad un chilometro dalle grotte di Tham Kong Lo, una delle
meraviglie del Laos che domani visiteremo. Qui i prezzi sono decisamente più
economici, paghiamo solo 13 euro la camera più cena per due persone.
Raccolta dello sticky rice
La preparazione del terreno per la nuova coltivazione
La nostra Honda da 110cc, un bolide!
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