[India] Varanasi è uno di quei luoghi che ti mette
alla prova, ti fa scoprire i tuoi limiti, ma le difficoltà sono iniziate per me
ancora prima, con le 15 ore di treno da Calcutta. Gli scompartimenti dovrebbero
contenere otto persone, per buona parte del tragitto sono diventate il doppio, ad
ogni fermata si aggiungeva qualcuno e dovevamo condividere la cuccetta facendo
sedere i nuovi arrivati.
In stazione siamo stati letteralmente assaliti dai conduttori
di risciò che ci chiedevano tariffe impossibili per portarci in città, mentre
lo sguardo si riempiva delle migliaia di persone in attesa di partire o di
comprare il biglietto. Varanasi non è cambiata da quando l’ho vista alcuni anni
fa, mi ha accolto come allora con mucchi di immondizia e merde delle sacre
vacche sparse ovunque, mentre le pantegane si muovono tranquillamente in cerca
di cibo, incuranti delle persone.
Cerchiamo una camera lungo il Gange, il luogo sacro da
cui tutto ha origine e a cui tutto ritorna, dove i fedeli indù si ricongiungono
al divino, dove è possibile espiare i peccati del karma, dove il nodo della
vita si scioglie e si aprono le porte del moksha,
la liberazione dal ciclo infinito delle reincarnazioni. Gli induisti aspettano
per tutta la vita il momento in cui si recheranno in pellegrinaggio a purificarsi
nelle sue acque, qui un indù vorrebbe che le sue ceneri fossero sparse e qui un
indù affida ad una fiammella galleggiante i sogni e le speranze di una vita.
Ci sistemiamo alla Puja Guest house nel cuore pulsante della città vecchia,
un dedalo intricatissimo di viuzze perennemente in penombra, dove si riposano
le onnipresenti vacche. I vicoli sono così stretti da risultare inaccessibili
se nel mezzo ce n’è una, quando la trovi nel tuo percorso devi tornare indietro
o farla passare sperando che nel frattempo non ti spalmi la coda sui vestiti
nel suo continuo tentativo di allontanare le mosche. Camminando non puoi
permetterti di alzare gli occhi perché beccheresti sicuramente una delle tante
merde e di notte, per evitarle, conviene usare la pila. Ma ne vale la pena,
perché una volta arrivati sulle terrazze del Puja si è al centro di tutto e la vista
sul Gange è forse la più bella di tutta la città.
Durante il giorno l’intera parte vecchia è un mercato coloratissimo che
trabocca di gente, dai numerosi piccoli templi sparsi in ogni
angolo, pieni di luci psichedeliche e frutti offerti agli dei, escono persone
scalze e musiche assordanti. Gli odori sono esuberanti e si mescolano ai
sapori, mentre fiori coloratissimi distraggono il mio sguardo da cani, mucche
ed esseri umani che rovistano tra le immondizie per trovarci del cibo: un
ottimo sistema di riciclaggio dei rifiuti, alla fine rimane solo la plastica.
La città si distende solo lungo la riva occidentale del
fiume, quella sacra, la riva orientale infatti, considerata impura, è
completamente deserta. Si rimane colpiti dal contrasto dei grandi palazzi e dei
templi, dalla miriade di guglie e terrazze che si elevano qua e là, e dai
numerosi ghat, scalinate variopinte dove la gente scende fino all’acqua per le
abluzioni.
I ghat sono certamente la maggior attrattiva di Varanasi
e la cosa che più affascina. E’ proprio qui che si svolgono le pratiche nella
loro tradizione più antica, i rituali più intimi sono costantemente sotto gli
occhi di tutti e un formicolio di vita anima a tutte le ore del giorno la sacra
sponda. E’ in
questo universo che si percepisce costantemente il dualismo fatto di bellezza e
sporcizia, miseria e felicità, rumore e silenzio, di folle e di deserti, di
vita e di morte.
C’è chi mangia, chi dorme e chi prega, qualcuno si lava,
altri lavano la biancheria o fanno lo sciampo ai bufali. Un microcosmo, dove il
sacro rito della cremazione non si ferma mai, come del resto non si ferma la
morte. Il tutto avviene con una naturalezza e una semplicità disarmanti, tanto
che i bambini giocano con gli aquiloni tranquillamente intorno alle pire
ardenti, forse a suggerire che tutto è un gioco.
Varanasi non si giudica, si vive, e non ha nessun senso farsi
domande che creano solo altre domande. Meglio cogliere l’occasione di aprire la
mente a modi di vita e tradizioni tanto differenti che aiutano a rivalutare ed
arricchire le nostre. E’ in questo senso che sento mie queste parole di
Pasolini: “Un occidentale che va in India
ha tutto ma non dà niente. L’India, invece, non ha nulla, in realtà dà tutto.”
Anche i bufali purificano il karma |
La sponda
occidentale del Gange piena di palazzi e guglie
|
Sogni e speranze affidati al sacro fiume |
All’’uscita della nostra guest house la mucca Gina ci aspetta ogni mattina |
ciao Paola! ciao Ruggero!
RispondiEliminal'India..
un'esperienza che non riesco a fare in nessun altro luogo.
Si è vero ogni viaggio, è un'esperienza diversa, è che io, in ogni viaggio, sento che sto facendo un viaggio
in India no. in India tutto cambia.
Durante, dopo.
Ogni cosa che pensavi di trovare.. lì, non c'è.
Ogni cosa che pensavi non ci fosse.. lì, c'è.
E tutto quello che non sai.
Probabilmente sto dicendo le solite cose.
e allora, vi saluto
tanto
a giovedì.
Belle le foto.
susanna