[Laos] Piove a dirotto tutta la notte sull’isola di Don Det e
siamo preoccupati perché dobbiamo fare 150 km in moto ed arrivare a Pakse entro
le 15, quando parte il bus per il confine. Fortunatamente smette poco prima della
partenza e lentamente uscirà un bel sole. Impieghiamo quattro ore per tornare
in città, cercando di riempirci gli occhi degli ultimi colori laotiani, dei
fiori di loto, delle varie sfumature di verde e della semplice vita di
campagna, dove intere famiglie vivono in fatiscenti palafitte di legno, ma sempre
sorridenti.
In città arriviamo in tempo per fare
colazione/pranzo/cena, cioè l’unico pasto di questa giornata e sistemare gli
zaini. Un bus ci porta al confine che dista solo una cinquantina di chilometri,
le formalità d’ingresso sono molto semplici, non serve il visto per la
Thailandia, ma ci chiedono di pagare una tassa di 10.000 kip (1 euro). Passato
il confine un pulmino ci porta a Ubon R. dove ci aspetta un treno con cuccetta
di dodici ore per Bangkok. Il fuso orario è lo stesso, non dobbiamo cambiare
l’ora.
Mancava la sorpresa del treno. Ci eravamo abituati bene
con quelli cinesi che erano buoni, funzionali e con un vagone ristorante molto
carino. Quando arriva in stazione il treno per Bangkok pensiamo si siano
sbagliati, i vagoni sono decrepiti, alcuni finestrini sono rotti, la motrice
puzza di gasolio e i letti non ci sono ancora perché ricavati dai normali
sedili. Faccio un giro al vagone ristorante e ne rimango scioccato, sembra un
carro merci con il cibo buttato a caso in contenitori dall’aspetto poco
rassicurante. Un ferroviere passerà un’ora dopo a prepararci i letti con tanto
di lenzuola candide e tutto sommato dormiamo bene.
Un
saluto al Laos… paese dove il tempo scorre lento
Ci mancheranno i bufali pieni di fango che ci
attraversavano continuamente la strada con la stessa calma dei loro padroni e non
abbiamo ancora capito se siano gli animali ad aver imparato dagli umani o
viceversa. Ci mancherà soprattutto la gentilezza contagiosa, i modi semplici e
dolci di tutte le persone che abbiamo incontrato, i continui “sabadiee” dei bambini e sicuramente la BeerLao, compagna di ogni sera.
Ci mancheranno i fride
noodels vegetable, ben diversi dagli spaghetti – ci tengono a dirlo - e lo sticky rice a colazione, pranzo e cena.
Il latte di una noce di cocco e le banane arrostite, mangiate insieme agli
studenti appena usciti da scuola. Ci mancheranno pure le loro indistruttibili
ed economiche moto Honda con le quali abbiamo fatto più di 1200 km tra strade quasi
sempre deserte in mezzo ad una natura incontaminata.
Ci mancherà la terra rossa delle foreste, il verde
brillante delle piantagioni con i piccoli coni bianchi delle donne al lavoro, il
gracchiare assordante delle rane e il frinire acutissimo delle cicale. Non
dimenticheremo il Mekong, che ci ha accompagnato silenzioso per tutti questi
giorni e sulle cui rive si affacciano villaggi, templi, spiagge e tanta vita… e
ci inchiniamo ai monaci scalzi, che nel buio che precede ogni giorno, vagano
alla ricerca di un pugno di riso.
Ci siamo liberati invece della loro mania di entrare
scalzi ovunque, anche in bagno, dove noi ci portavamo le ciabatte in mano e le
mettevamo un attimo prima di entrare. Bisognava toglierle addirittura per
entrare in alcuni piccoli supermercati, comunque sempre molto puliti.
A Vientiane monaci scalzi chiedono un po' di riso |
Ricordo di un tramonto sul Mekong |
Per favore togli le scarpe prima di entrare nella toilette |
Un formicaio gigante lungo la strada del ritorno |
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