lunedì 21 gennaio 2013

Trekking nei villaggi intorno Hsipaw

[Birmania]  Da Mandalay andiamo alcuni giorni a Hsipaw, una cittadina tra le montagne a 700 m di quota, dove si possono fare dei trekking visitando le tribù delle colline. Per raggiungerla ci vogliono sei ore di bus su strada ben asfaltata, piena di tornanti, ma con belle viste sulle montagne ammantate di verde. A Hispaw abbiamo prenotato una camera doppia senza bagno, per 14$, alla Mr. Charles Guest House, una struttura acchiappa turisti dotata di tutte le comodità, come la colazione all’occidentale, wi-fi e una serie di escursioni guidate.

Il primo giorno facciamo un lungo giro in barca lungo il fiume visitando villaggi e piantagioni di ananas. E’ domenica, ma tutti lavorano nei campi. La guida ci spiega che il giorno festivo domenicale viene rispettato solo in città, nelle campagne si usa il calendario lunare, con giorni di festa ogni due settimane, in occasione della luna piena e della luna nuova, alternati da due giorni festivi meno importanti durante la mezza luna crescente e la mezza luna calante. Nel tragitto ci fermiamo in un monastero dove ci viene offerto del fantastico ananas fresco appena colto, mentre poco più in là giovani monaci sono appiccicati davanti alla televisione proprio vicino all’altare principale.  

Il giorno successivo partiamo per un trekking guidato di due giorni con visita ai villaggi delle minoranze Shan e Palaung. Siamo in otto: noi, una coppia di inglesi settantenni, un americano della Florida, una mamma tedesca, una giovane slovena e un’australiana che non smette mai di palare. Subito dopo aver lasciato Hsipaw incontriamo delle fabbriche di noodles, spaghetti cinesi, tutti appesi all’esterno ad essiccare, da lontano sembrano tante lenzuola appena lavate. La somiglianza con la Cina qui è molto forte.

Durante il percorso la guida ci racconta alcune strane usanze degli “amati e odiati” vicini di casa. Fino a vent’anni fa i cinesi arrivavano nei villaggi del nord e offrivano anche mille dollari per i testicoli di giovani ragazzi che una volta mangiati, secondo loro, danno virilità e fertilità. La cifra offerta era enorme per le povere famiglie birmane e non è stato facile per il governo mettere fine a questo scandaloso commercio di organi.

Altra “simpatica” usanza cinese tuttora praticata, secondo la guida, è quella di raccogliere la placenta femminile e il liquido amniotico del parto per poi mangiarli come “zuppa”, sempre perché aiutano la fertilità. I due inglesi confermano questa pratica perché l’avevano già letta su delle riviste specializzate.

Tra un discorso e l’altro cominciamo a salire un sentiero di terra rossa, dove faticano anche le moto, mentre il panorama si fa sempre più interessante con contadini che lavorano il mais, bambini che giocano in lontananza e villaggi di palafitte senza tempo. In ogni insediamento Shan si può trovare il kin-gyiao, un fallo di legno posto su un’urna di olio vegetale sotterrata per assicurare la fertilità dei campi. Mentre i villaggi sono protetti dagli spiriti maligni da cancelli con simboli lignei di coltelli incrociati.

Arriviamo verso le due nel villaggio di Pankam, 600 anime in tutto. Pranziamo con riso e ottima zuppa di mango, prima del tramonto un giro per i sentieri intorno fermandoci nel monastero per sentire i canti dei monaci. Non c’è l’energia elettrica, alcune case hanno i pannelli fotovoltaici per caricare le batterie che daranno la luce durante la sera, ma alle otto vediamo solo una luce oltre alla nostra. Ci fermiamo a parlare un po’ sotto le stelle, con la luna allo zenit e alle nove siamo già tutti a letto, una grande camerata sulla palafitta fatta di bambù intrecciato, dove i materassi sono stesi per terra. Di zanzare, per fortuna, nemmeno l’ombra.

La mattina ci alziamo alle sette e dopo una colazione a base di noodles, che il mio stomaco si rifiuta di mangiare, si parte di nuovo  per il trekking. Scenderemo attraverso polverosi sentieri di terra rossa, con le donne nei loro vestiti colorati e uomini con il caratteristico telo di stoffa avvolto attorno alla vita, sempre sorridenti e contenti di scambiare delle parole con noi. Un vecchio di 84 anni ci mostra fiero le gambe piene di tatuaggi, una moda maschile della tribù.

Verso la fine del trekking ci fermiamo a visitare delle fabbriche di zucchero di canna dove la produzione avviene tutta sotto quattro capanne ricoperte di paglia, se non fosse per il fumo dei grandi pentoloni contenenti la melassa di canna, non si noterebbe niente. Abbiamo assaggiato prima il liquido verde e dolciastro estratto dalle canne pressate, poi la calda crema marrone che ribolliva nei pentoloni e infine il prodotto finito, il vero e proprio zucchero di canna già solidificato. Una meraviglia che ci fa concludere in dolcezza l’escursione dopo ben 7 ore di cammino.

Dentro il monastero giovani monaci sono appiccicati davanti alla televisione
Camminiamo su sentieri di terra rossa
Donna del villaggio Pankam... 
...e i monaci del piccolo monastero  
 Foto di gruppo con carrozzina di legno
Ritorno dai campi 

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