[Birmania] Siamo partiti con poca voglia, Yangon ci piace e avremmo
voluto rimanerci di più, ma ci torneremo, per prendere il volo di ritorno a Bangkok.
Una piccola agenzia “sulla strada”, di cui non ci saremmo mai fidati se non ce
l’avesse consigliata il direttore della guesthouse, ci ha venduto i biglietti
del bus per Mandalay (10500 kyat = 12,5 $). L’autobus parte alle 21 ma da una
stazione molto lontana dal centro, come succede in tutte le città del Myanmar, così
la nostra avventura è iniziata ben tre ore prima, salendo su un pickup che fa
da spola. Mai avremmo pensato di trovarci nel cassone di un camioncino con gli
zaini in equilibrio tra pacchi, cartoni e merci varie, un ‘viaggio’ che nel traffico
della città è durato più di un’ora.
Il bus notturno per Mandalay non aveva cuccette ma
semplici sedili reclinabili, per fortuna con spazio sufficiente per stendere le
gambe. Il dramma è stata l’aria condizionata, sembrava di essere nell’Era
Glaciale con gente vestita con giubbotti, cappelli con il pelo e coperte su
coperte. Anche noi ci siamo dovuti mettere addosso tutto quello che avevamo,
compreso il piumino quello comperato in Cina per 6€, che usavamo nelle notti
indiane trascorse in treno e che per fortuna non abbiamo rivenduto per qualche
soldo a Bangkok.
Ad uno stop dell’autobus sono andata dall’autista, anche lui
con il berretto di lana in testa, facendo un po’ l’incazzata, ma dal suo
sguardo ho capito che non c’era proprio niente da fare e che l’aria
condizionata, così a manetta, dovevamo tenercela. Disperati ci siamo infilati
sotto le coperte termiche, una grande carta stagnola dorata, facendo ridere tutti
gli altri passeggeri.
L’autobus andava a velocità sostenuta ma ero tranquilla,
tanto più che l’indovino di Yangon mi ha detto che in futuro non avrò incidenti
– facciamo le corna! -. Ieri infatti ci siamo fatti leggere la mano nelle
botteghe di astrologi e indovini che ci sono sotto il Sule Paya, il grande
tempio dorato di oltre duemila anni al centro della rotatoria più importante
della rete stradale urbana.
Una commistione tra sacro e profano: lo “zedi”, stupa, del Sule Paya è sempre
affollato di fedeli, soprattutto verso sera quando i lavoratori tornando a casa
e si fermano a pregare e a meditare. Intorno invece ci sono negozi di varo tipo,
tra cui tanti indovini che per pochi euro ti leggono la mano. Sono i più famosi
della città.
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