[Khirghizistan] Abbiamo trascorso la notte nella yurta con un
pesante strato di coperte, cullati dal rumore della pioggia. Sopra di noi il
grande tunduk, l’elemento di raccordo
a ruota che sostiene il tetto, raffigurato anche sulla bandiera nazionale del
Kirghizistan. Lasciamo la nostra yurta generosamente arredata con tessuti
decorativi, arazzi, coperte, cuscini e un grande cofanetto finemente lavorato;
sul pavimento sono stesi dei tappeti dai colori vivaci, sopra uno spesso strato
di feltro che serve da isolante.
Stamane è uscito il sole sul lago Song-Kol e
il panorama è decisamente più bello. Dopo colazione facciamo ancora un giro osservando la gente che, con i contenitori portati dal mulo, si avvicina alla
sponda del lago per riempirli d’acqua. Salutiamo la dolce famiglia che ci ha
ospitato e, saliti in macchina, riprendiamo la via del ritorno tra paesaggi che
cambiano colore con la quota. Incontriamo diversi turisti in bici e davvero ho
un po’ d’invidia di questo loro andare: il Kirghizistan è il paese migliore di
tutta l’Asia centrale per gli amanti del trekking e per fare delle escursioni a
cavallo, ma che meraviglia girarlo in bici! Superiamo il passo Kalmak-Ashuu, dove
centinaia di yak camminano spostando il pesante mantello di pelo nero.
La cosa più sorprendente degli yak è la loro
capacità di resistere alle altitudini elevate, tanto che una discesa al di
sotto dei 3000 metri, non solo può pregiudicare il loro ciclo riproduttivo, ma
anche esporli a parassiti e malattie. Con la loro lingua quadrata, e con il triplo
dei globuli rossi di una normale mucca, riescono a cercare foraggio con
temperature che spesso arrivano a – 40°. Possono raggiungere la tonnellata di
peso, malgrado questo si muovono lungo i pendii della montagna con un’agilità
impressionante. Dello yak viene usato tutto: la carne si mangia, dalla pelle si ricavano suole per
stivali, il pelo viene usato per realizzare
tende e corde, mentre dal soffice contropelo interno si ottiene del feltro. Lo
sterco essiccato è un ottimo combustibile.
In serata arriviamo alla fosca e polverosa Naryn, l’ultimo avamposto kirghiso a 150 km
dalla Cina, qui dobbiamo avere la conferma dall’agenzia locale che lunedì
passiamo il confine. Prendiamo una suite
per 20 € nel piu' grande albergo, l’unica con una specie di bagno in
camera, e ci avventuriamo in cerca di cibo. Dei tre ristoranti della città, uno
è chiuso e gli altri due sono riservati per feste di matrimonio. Finiamo in una
balera dove si può mangiare, la
musica è assordante e tra le canzoni ci sono anche quelle dei “Ricchi e Poveri”. Delle donne, già
ubriache alle otto di sera, mi costringono a ballare, mentre Ruggero riesce a nascondersi. Naryn come tutte le altre città kirghize è davvero triste, edifici
malridotti e brutti quartieri, ma la gente sembra felice a cominciare dai
bambini che corrono per le strade giocando e ridendo.
Sul passo Kalmak-Ashuu a 3300 m,
i puntini neri sono tutti...
...yak
Campi fioriti sulla strada verso Naryn
Incidente di percorso...
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