Da Litiang siamo
partiti con un pulmino verso Xiangchemg, una brutta città la cui unica
attrattiva è il bel monastero sulla montagna e i monaci che girano spediti in
moto. Questa è una tappa obbligata per prendere l’unico bus di nove ore per
Shangri-La che parte la mattina successiva.
Nei due
trasferimenti abbiamo viaggiato sempre tra alte montagne con torrenti e vallate
molto belli. I colori sono quelli che si preparano all’autunno con macchie di
giallo e rosso tra la fitta vegetazione. La strada, in gran parte in salita,
non era altro che uno stretto sentiero che serpeggiava intorno alla montagna.
Nel bus qualcuno recitava un mantra che accelerava il mio battito cardiaco e la
stizza di cadere di sotto.
I cinesi
mangiano sempre, a tutte le ore. Già al mattino presto si fanno dei piattoni
enormi di noodles in brodaglia o spiedini in salsa piccante. Il pane non
esiste, sostituito egregiamente dal riso… sarà per questo che sono tutti così
magri. Il problema è che mangiano continuamente anche quando sono in bus e poi,
ai primi tornanti di montagna, vomitano in un sacchetto di nylon che
saggiamente il conducente distribuisce alla partenza. E quello che vomita, non
si sa perché, è sempre seduto dietro o di fianco a te.
In questi
viaggi non è indifferente nemmeno il posto dove siedi, se per esempio in
pulmino capiti dietro ad un autista che sputa frequentemente fuori dal finestrino
(sputare è una passione dei cinesi), hai il tuo bel da fare, passi tutto il
tempo del viaggio sperando che una folata di vento un po’ più forte non riporti
dentro il suo sputo, esattamente su di te. Insomma, tra vomiti e sputi
arriviamo alla mitica città.
Il mito di Shangri-La
Shangri-La è
un luogo immaginario descritto nel romanzo di grande successo “Orizzonte perduto” di James Hilton nel
1933. Nel romanzo si parla di un luogo racchiuso nell’estremità occidentale
dell’Himalaya nel quale si vedevano meravigliosi paesaggi, e dove il tempo si
era quasi fermato, in un ambiente di pace e tranquillità. Shangri-La era organizzata
come una comunità perfetta, dalla quale erano bandite, non per norma di legge
ma per convinzione comune, tutta una serie di umane debolezze (odio, invidia,
ira, avarizia, insolenza, ecc.) facendone un eden materiale e spirituale in cui
l’occupazione degli abitanti era quella di produrre cibo nella misura
strettamente necessaria al sostentamento e trascorrere il resto della giornata
nell’evoluzione della conoscenza interiore e nella produzione di opere
d’arte.
Molte città
sostengono di essere quella mitica descritta da Hilton, ma nel 2002 il governo
cinese, per ovvi motivi economici, ha deciso di dare il nome di Shangri-La a
Zongdian, che vanta un simpatico centro storico. Il turismo è ovviamente
esploso e in dieci anni la città è stata completamente deformata, con l’area
centrale strapiena di negozi di souvenir, ristoranti, alberghi, venditori
ambulanti, ecc., e orde di turisti, prevalentemente cinesi, che si riversano
per le sue vie in piena crisi fotocompulsiva.
Prendiamo una
camera in centro e ci lasciamo trascinare dalla folla e dai balocchi, pensando
che Shangri-La, al di là del mito, è proprio brutta.
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