[Cina] Ieri mattina, dopo solo tre ore di sonno, siamo andati alla stazione degli autobus di Kanding sperando di prendere l’unico bus delle 6 per Litang, niente da fare, è stato sospeso. Subito ci offrono un passaggio in una grande jeep da sette posti con un prezzo triplo rispetto al bus, trattiamo per 250 yuan a testa, un turista poi ci dirà che ne ha pagati 200, è così, c’è sempre chi paga meno di te. Dovevamo arrivare in 6 ore, invece ne abbiamo impiegate 13 per percorrere 290 km di strada sterrata e piena di fango, una velocità da ciclisti. Il viaggio è stato durissimo, sballottati da una parte all’altra della jeep con colpi alla testa e alla schiena e con le mani sempre attaccate ai sedili. Abbiamo valicato diversi passi il più alto dei quali a 4730 metri, con gli yak padroni assoluti del territorio.
Ne è valsa la pena. Litang è una bella città tibetana,
ancora più originale di molte città che abbiamo visitato in Tibet: paradossalmente
i cinesi hanno distrutto i villaggi tibetani in Tibet e li hanno lasciati quasi
inalterati in Cina. In albergo chiediamo informazioni sullo strano rito dei
funerali a cielo aperto che avvengono in una collina vicina, di cui anche
Tiziano Terzani ne parla nel suo libro “La porta proibita”. Ci rispondono che la
domenica non ci sono, ma non potendo rimanere qui un altro giorno proviamo
comunque ad andarci. Quando siamo arrivati il rito stava per cominciare e quello
che abbiamo visto è stata una delle cose più impressionanti di tutto il viaggio.
Dopo il funerale siamo andati al monastero attraversando a
piedi un villaggio fatto di case con mattoni contornati di bianco e mura di
cinta coperte da piccoli fiori gialli. All’esterno delle case, attaccato al
muro, viene messo ad essiccare lo sterco di yak usato per cucinare e riscaldare,
si capisce che è secco dal fatto che si può staccare facilmente.
Arriviamo al monastero dell’ordine dei “Berretti Gialli” in tempo per assistere ad una cerimonia con tanto
di tromboni e “orchestra”, in cui la morte, rappresentata da uno scheletro con
la testa di cera, viene gettata sul fuco da un monaco bendato. Saliamo sul
tetto per contemplare la città e le colline intorno, tutte più alte del nostro
Monte Rosa… è stata decisamente una giornata indimenticabile.
I
funerali a cielo aperto di Litang
Il drappo bianco viene tolto dal corpo mentre il tomden (un
maestro di cerimonie religiose) affila il suo grande coltello. Fa un giro
intorno a un piccolo monumento buddhista recitando mantra e poi comincia a
tagliare a pezzi il corpo disteso sulla lastra di pietra. La carne viene
tagliata in grossi pezzi, mentre le ossa e il cervello vengono frantumati e
mischiati con farina d'orzo.
L'odore della carne attira un gran numero di avvoltoi che
sorvolano impazientemente sul cadavere. Alla fine il tomden si fa da parte e i
giganteschi uccelli scendono a terra impazziti dalla fame, divorano il corpo e
lo trasportano in cielo a pezzetti.
Il funerale a cielo aperto (tianzàng) è un'antica tradizione
funeraria del buddhismo tibetano che svolge una funzione sia spirituale che
pratica. Secondo le credenze tibetane, infatti, il corpo è un semplice veicolo
che permette di compiere il viaggio della vita; con la morte lo spirito lo
abbandona e di conseguenza diventa inutile. Lasciare il proprio corpo in pasto
agli avvoltoi è un atto finale di generosità nei confronti della natura e crea
un legame con il ciclo della vita. Gli stessi avvoltoi sono venerati e
considerati una manifestazione del dio Dakinis, che si ciba di carne.
Dal punto di vista pratico questo tipo di funerale è un
sistema perfettamente ecologico per sbarazzarsi dei cadaveri, in una zona in
cui c'è poca legna e spesso il terreno è indurito dal gelo.
Negli anni '60 e '70 i cinesi vietarono i funerali a cielo
aperto. Fu solo negli anni '80, quando i tibetani riacquistarono limitati
diritti religiosi, che vennero di nuovo legalizzati. Comunque la maggior parte
dei cinesi di razza han considera questi riti funebri una pratica primitiva.
A Lhasa i turisti devono essere in possesso di un permesso
speciale per poter assistere ai funerali a cielo aperto, invece nelle zone più
remote del Sichuan è possibile partecipare, ma non è possibile scattare
fotografie.
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